Chi e Jing, facili da comprendere e difficili da tradurre

Affrontando la lingua cinese, fatta di sillabe che cambiano completamente significato quando usiamo un tono piuttosto che un altro, entriamo quindi in un universo complesso e affascinante, che richiede sensibilità emotiva e conoscenza intellettuale per essere attraversato con successo.
Una delle principali difficoltà in cui si imbatte il praticante di discipline orientali che voglia approfondire lo studio degli aspetti teorici legati a queste pratiche, è sicuramente la difficoltà di tradurre in lingua occidentale alcuni dei termini che più frequentemente ricorrono nello studio delle Arti provenienti dall'Asia.

E' un problema che solo in parte è stato risolto dall'aiuto che oggi la tecnologia offre a chi si imbarchi in una così impegnativa missione, perché certamente negli ultimi anni i traduttori automatici hanno fatto passi da gigante e sono oggi disponibili siti internet che offrono la possibilità di consultare a distanza volumi custoditi in biblioteche situate dall'altra parte del mondo o visitare siti internet che raccolgono pareri e contributi di studiosi e accademici, ma il problema di fondo è – e rimane – la difficile conciliabilità del linguaggio orientale con quello occidentale.

Parole ed emozioni

Dobbiamo innanzi tutto dire che la comunicazione si basa su dei concetti e dei significati condivisi; se io dico ad un mio interlocutore “la mela è rossa” do per scontato che lui sappia cosa è una mela e che il rosso sia un colore. Provate ad immaginare come spiegare una frase così semplice a chi non abbia mai visto una mela o non sappia cosa è un colore e vi farete una idea di come anche le frasi più semplici possono dare vita ad enciclopediche discussioni.

La cosa si complica quando si affrontano termini che indicano concetti o emozioni, cosa che sa benissimo chi si è trovato a dover tentare di spiegare cosa sia l'amore, il coraggio, la felicità o l'orgoglio ad un bambino curioso. Chi vuole cimentarsi in un interessante esperimento, provi a chiedere ai suoi conoscenti: “Cosa è la felicità, secondo te?” e – come racconta Paul Watzlawick nel suo godibilissimo libretto “Istruzioni per rendersi infelici”, riceverà da ciascuno una risposta diversa, anche se tutti noi siamo convinti che tutti sappiamo cosa sia la felicità.

Ecco quindi che la questione si complica, e non poco, quando si affronta la traduzione di una lingua straniera; anche quelle più vicine alla nostra e con cui condividiamo secoli di storia e molte radici comuni, hanno termini quasi intraducibili; si pensi ai termini inglesi “feeling” o “record”, che quasi sempre vengono lasciati in originale anche in testi italiani e – viceversa – alla espressione italiana “magari!” con cui esprimiamo speranza e buon augurio, che non ha un equivalente così sintetico e chiaro in lingua angosassone.

Affrontando la lingua cinese, fatta di sillabe che cambiano completamente significato quando usiamo un tono piuttosto che un altro, entriamo quindi in un universo complesso e affascinante, che richiede sensibilità emotiva e conoscenza intellettuale per essere attraversato con successo.

“Semplice ma non facile”, ci ricorda spesso il Maestro Severino Maistrello, Direttore Tecnico dell Wudang Fu Style Academy, quando descrive i principi alla base delle tecniche, e lo stesso possiamo dire di alcuni termini, molto presenti e frequentemente usati nella pratica delle discipline interne, che vengono quasi sempre lasciati così come sono, trascivendoli nella loro resa fonetica ed affidando l'eventuale traduzione a note esplicative spesso molto corpose, che non di rado complicano la spiegazione invece di semplificarla.


Chi e Jing, termini intraducibili?

“Dao”, “Chi”, “Tian”, “Gong”, “Chang” sono solo alcuni, che tutti noi usiamo frequentemente e che pure avremmo un po' di difficoltà a spiegare ad un amico che fosse completamente a digiuno di cultura orientale.
Nella pratica delle discipline interne comprese nel curriculum tecnico della  Wudang Fu Style Academy, due tra i termini che ricorrono più spesso sono senz'altro “Chi” e “Jing”, frequentemente in relazione tra loro.

Come detto, quasi sempre vengo utilizzati senza alcuna traduzione, dando per scontato che chi ascolta ne conosca il significato, quanto meno superficialmente. Proviamo invece in queste riche ad esplorare un po' questi due termini, senza pretesa alcuna di voler aggiungere nulla a ciò che ognuno già conosce, quanto piuttosto che la proposta di esplorare con più attenzione territori che ci sono già più o meno familiari.

Occorre infatti dire subito che molti aspetti della cultura cinese (e non solo cinese!) sono esperenziali; l'insegnante forniva e fornisce all'allievo poche istruzioni e ancor meno spiegazioni, lasciando che fosse la pratica costante e la sua capacità di cogliere cause ed effetti ad ammaestrarlo. Questo metodo didattico, per certi aspetti oggi impraticabile visti i tempi e le dinamiche della vita quotidiana, aveva l'incommensurabile vantaggio di dare “a ciascuno il suo”, permettendo ad ogni praticante di impegnarsi in un percorso formativo assolutamente unico ed individuale in cui ciò che veniva appreso andava aldilà delle parole e dei concetti intellettuali ma era percepito e inciso nella carne e nello spirito, in maniera indelebile.

Questo significa quindi che lo stesso principio sarà origine ad effetti diversi su ciascun praticante e che quindi quello che andremo a dire qui e altrove ha valore come mera testimonianza personale e non certo come ammaestramento universale.

Quando parliamo di “Chi” o “Qi”, a seconda della traslitterazione dell'ideogramma, intendiamo il soffio/energia vitale che pervade ogni processo ed essere vivente nell'universo, una energia che nella sua raffinata espressione quint'essenziale viene indicata con il termine “Jing”, come avevamo già scritto in un precedente articolo (clicca QUI per leggerlo)

Come è oramai abitudine, partiamo dagli ideogrammi dei termini che vogliamo analizzare; l'deogramma 氣 con cui viene indicato il Chi, esprime – come abbiamo detto – l'energia vitale che pervade l'intero universo, percorrendolo e animandolo in maniera incessante. E' dovunque ma non lo possiamo vedere, è presente ma non lo possiamo afferrare. Probabilmente in passato questo termine si riferiva al vapore atmosferico (“yunqi”, il vapore delle nubi) ma era collegato anche al termine “xi”, che in un unica sillaba esprime il concetto di offrire in omaggio ad un ospite del cibo a base di riso, collegandosi inoltre alla usanza rituale di offrire offerte di cibo agli spiriti e agli antenati . Come molti sanno, l'ideogramma attualmente utilizzato comprende nella sua forma grafica il radicale “mi” (riso) esprimendo l'immagine del vapore che sale dal riso mentre questo si cuoce. Essendo il riso alla base nella alimentazione orientale, il passaggio da cibo come fonte di energia materiale a energia “tout court” è facilmente comprensibile, tanto che in tempi recenti c'è chi ha fatto un interessante analogia tra il concetto del Chi e la formula e=mc2 elaborata da Einstein.

Così il Chi, che incessantemente aliementa, sostiene e produce la vita, diventa sostanzialmente sinonimo della vita stessa. Così come l'uomo è vivo perché respira, l'universo è vivo perché è pervaso dal soffio vitale del Chi, tanto che nel “Neiye” leggiamo che “Quando l'energia vitale (Chi) scorre, c'è la vita (sheng)”.

Il carattere 精 esprime invece la quintessenza dell'energia vitale, lo “Jing” che rappresenta il chicco di riso scelto, il prodotto risultato di una costante e attenta raffinazione, e non a caso troviamo, sulla sinistra del carattere, lo stesso radicale 米 di riso che – limitiamoci a rilevarlo lasciando ai lettori più curiosi di approfondire l'argomento – traccia una doppia croce che indica otto direzioni, in una sorta di asse complementare del Bagua. Lo Jing è quindi la forma più pura e concentrata del Chi, come esplicitamente afferma ancora il Neiye dove leggiamo “La pura essenza vitale (jing) è la quintessenza dell'energia vitale (chi)”.

Tutto quanto sopra potrebbe sembrare una affascinante speculazione filosofica, molto fantasiosa e poco pratica, ma – come approfondiremo in un prossimo articolo – nella cultura orientale Corpo, mente e Spirito viaggiano di pari passo e ciò che avviene in uno non può non influenzare gli altri.

A testimonianza di quanto sopra, leggiamo ancora il Neiye, il più antico testo cinese che descrive le tecniche di meditazione del respiro taoista e la circolazione del Chi a cui dedicheremo presto un articolo, che nei suoi primi versi così poeticamente afferma:

“Dai tempi dei tempi l'essenza vitale 
nel suo procedere genera la vita.
Genera i cinque cereali scendendo in basso
e produce le costellazioni salendo in alto.
Quando fluisce in mezzo tra Cielo e Terra,
la si chiama “spirituale e divina”.
Colui che la accumula in mezzo al petto
viene chiamato saggio.”

Ecco quindi, che in pochi ma illuminanti versi viene spiegato che lo jing – onnipresente tanto nelle immensità del cielo che nelle profondità della terra - genera materialmente sia le stelle che i cinque cereali alla base del nutrimento e quindi della vita stessa. E poiché tra Cielo e Terra abbiamo l'Uomo, il perenne fluire del Jing, se correttamente accolto e conservato, porta la saggezza, ovvero la qualità che rende l'uomo spirituale e divino, simile agli Dei ma fortemente partecipe dell'universo materiale grazie alla profonda capacità di visione e percezione che consente di riconoscere la legge universale che tutto muove, cogliendo l'intimo legame tra visibile e invisibile.

Molto ancora si potrebbe dire ma, rispettosi di quanto affermato in precedenza, ci fermiamo qui lasciando a ciascuno dei lettori – se lo vorrà – il piacevole impegno di proseguire nella scoperta dei tanti, affascinanti aspetti di questi concetti, consigliandogli – come sempre – di farsi affiancare nel suo cammino da un insegnante esperto e disponibile (Clicca QUI per consultare l'elenco degli insegnanti certificati WFSA).


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