Essere parte di una Famiglia marziale: un onore ed una responsabilità

Indossare la divisa con il logo della WFSA, indicare il nome della Scuola nelle locandine dei nostri corsi o nel sito internet della nostra associazione non deve essere vissuto come una diminuzione della nostra autonomia ma piuttosto come un onore ed un privilegio che attestano il nostro essere parte di una famiglia in cui – citando un famoso motto - si è “tutti per uno e uno per tutti”.
Sin dalla notte dei tempi, il nucleo fondamentale della società umana è stata la famiglia, intesa come insieme di persone unite tra loro da legami di sangue. La famiglia umana, pur fondandosi sulla necessità utilitaristica propria della natura animale, va oltre questa fondamentale contingenza e costituisce – o almeno dovrebbe – un rapporto tra membri fondato sull’istinto, sull’affetto e sulla ragione.  Ovviamente, in tempi e luoghi diversi, l’istituzione familiare si è espressa con modalità differenti, ma le apparenti discordanze formali non mettono in discussione i principi sostanziali.

Alla luce della importanza della famiglia nella vita di ogni essere umano, non c’è da stupirsi se questa sia diventata anche una delle figure retoriche più utilizzate per indicare un consesso più o meno ampio di persone legate tra loro da un rapporto non necessariamente di parentela effettiva, ma comunque più stretto (e spesso vincolante) della semplice amicizia. Alla stessa maniera, anche i termini utilizzati per indicare persone con cui c’è un legame di sangue sono utilizzati anche per definire persone con cui si abbia una notevole confidenza, pur non essendoci alcun rapporto familiare in senso stretto.

Quanto affermato sopra è vero nel colloquio quotidiano, e lo è ancor più nell’ambito di associazioni, ordini o gruppi di persone più o meno gerarchicamente organizzate per il raggiungimento di un fine comune; abbiamo così le tristemente note famiglie mafiose, ma anche gli iniziati ad Ordini esoterici o religiosi, che tra loro si riconoscono come “fratelli” e “sorelle”, come affermato – ad esempio – nel Salmo 133, conosciuto anche come “Canto delle ascensioni” che afferma: “Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme”, comprendendo nel termine di “fratelli” i membri della comunità religiosa.


Nulla di nuovo sotto il Sol Levante


L'etimologia della parola “famiglia” è da ricondursi al termine osco faama (casa), da cui il latino familia, cioè l'insieme dei famuli (moglie, figli, servi e schiavi del pater familias, il capo della gens). Pertanto, famiglia in senso stretto ed originario, significa “piccola comunità di persone che abitano nella stessa casa”.

Interessante notare, a questo punto, come il termine venga reso in Cina utilizzando caratteri ideogrammatici che – come spesso accade - si rivelano ricchi di significati che vanno ben aldilà della mera traduzione letterale.

L’ideogramma cinese utilizzato per indicare la famiglia è 家 (Jià) e questa è la spiegazione dell’ideogramma composto da due parti, quella superiore che indica un tetto e quella inferiore che rappresenta un maiale. Nella antica società rurale cinese, un  uomo per potersi sposare doveva avere una casa ed almeno un maiale. Il carattere che indica il concetto di famiglia è quindi un maiale sotto un tetto. Nell’antica Cina, ogni casa aveva annesso un porcile, la cui dimensione era l’indicatore dell’agiatezza della famiglia che la abitava. Esiste però un’altra interpretazione del carattere, che è legata al concetto di “casa” e ad un’altra possibile traduzione dell’ideogramma sopra riportato, secondo la quale la casa era il luogo dove la famiglia riunita celebrava i riti propiziatori durante i quali veniva sacrificato un maiale.

Questi due concetti li ritroviamo nell’utilizzo dell’ideogramma 家 nella lingua giapponese; preso singolarmente (letture: ie, uchi, ya, ka, ke) può voler dire tanto “famiglia” quanto “casa” o “abitazione”. Più spesso però viene impiegata la coppia di caratteri 家族; se i due ideogrammi vengono letti come kazoku questo indica il concetto di un legame familiare di sangue, dove 家 si traduce come “casa, abitazione” e 庭 come “anima, spirito”, con una significativa coincidenza con le figure dei Lari e dei penati della mitologia latina.

Un’altra coppia di caratteri impiegata è 家庭, che viene letto come katei ed evidenzia – più che i legami di sangue - la convivenza fisica tra i membri del nucleo familiare nello stesso spazio fisico, poiché è 家 si traduce sempre come “casa, abitazione” e 庭 come “giardino, cortile, aia agricola”.

Se è vero che nelle società orientali – specie in quelle più o meno influenzate dal Confucianesimo - i rapporti familiari mostrano alcune peculiari differenze rispetto a quelle occidentali, è altrettanto vero che alcuni principi sono assai simili nell’una e nell’altra parte del mondo, ed ecco allora che anche per noi può essere interessante approfondire determinati concetti e trovare singolari analogie e spunti di riflessione per osservare da un originale punto di vista la nostra pratica delle discipline interne di origine cinese.



La famiglia e l'origine

Ancora oggi, al concetto di "famiglia” si associano le caratteristiche di affetto, solidarietà e sincerità; spot pubblicitari di ieri e di oggi riproducono genitori affettuosi, figli amorevoli, parenti che si ritrovano insieme in occasione di festività religiose facendo leva su questi concetti. E tanto oggi le famiglie appaiono disgregate, atomizzate, composte da genitori single e con rapporti intergenerazionali a dir poco labili, più ci vengono proposti questi scenari tanto irreali quanto consolatori.

Partiamo da questa considerazione per analizzare la nostra pratica delle discipline interne di origine cinese perché fino a pochi decenni fa il concetto di “famiglia” era fortemente radicato in Occidente, la legislazione prevedeva delle attenuanti per chi avesse compiuto un delitto – fosse anche un omicidio – per questioni di onore, i nostri bisnonni di sfidavano a duello “lavare col sangue” una offesa personale e la reputazione familiare era tenuta in massima considerazione, tanto che – specie nelle città più piccole e nei paesi – nel valutare una proposta di matrimonio non si esaminavano solamente le qualità del nubendo ma anche – se non soprattutto – quelle della famiglia di origine e il comportamento più o meno virtuoso di un giovane veniva sempre attribuito all'influsso morale ed alla educazione ricevuta dalla famiglia d'origine.

Possiamo dire, semplificando ma certi di non essere troppo distanti dal vero – che nascere in una determinata famiglia poteva condizionare in maniera determinante la propria vita, a partire – quasi sempre – dal mestiere che si sarebbe svolto, che nel caso delle attività artigianali e nel caso delle professioni liberali, veniva trasmesso da padre in figlio o da madre in figlia.

Questo ultimo aspetto è sempre stato particolarmente evidente – tanto in Occidente quanto in Oriente – tanto che in molti cognomi emerge evidente quella che doveva essere la attività di famiglia (Fabbri, Pastore, Notaro, Massaro, Barbieri, Vaccaro, Vasari, Fornaro, ecc.) che diventava un vero e proprio “marchio” sociale. La necessità di assicurare il benessere economico della famiglia e di conseguenza di proteggere gli eventuali “segreti del mestiere” faceva si che raramente nelle botteghe artigiane venissero ammessi lavoranti estranei alla cerchia familiare e che – quando ciò avveniva – a questi venissero riservate le mansioni più umili.

Altro caso era una vera e propria “adozione” del membro esterno da parte del capo Scuola che non avesse discendenti di sangue in grado di proseguire la tradizione di famiglia; in questo caso l'erede designato diventava a tutti gli effetti un membro della famiglia, tramite matrimonio o adozione, assumendone il cognome e diventando il nuovo innesto grazie al quale il vecchio albero avrebbe continuato a dare frutti. Una scelta ancora viva sino a pochi decenni fa anche nelle nostre botteghe artigiane, dove al “Maestro” era riservato un rispetto ed un affetto filiale da parte di garzoni ed apprendisti, che spesso trascorrevano “a bottega” molto più tempo di quanto ne passassero a casa, e dove ricevevamo una formazikone ed una educazione che preparava i giovani non solo al mestiere, ma alla vita stessa, tanto che molti sono gli aneddoti in proposito ed altrettanti i modi di dire che rapportano esplicitamente la figura del padre naturale a quella del Maestro di Arte: “Mio padre mi ha dato la vita, il mio Maestro mi ha reso uomo” è uno di questi, esprimendo quanto la figura del Maestro fosse importante per l’adepto di una disciplina tradizionale. 

Questo atteggiamento venne riverberato nelle Scuole marziali orientali, che spesso facevano riferimento ad un Clan o a un villaggio piuttosto che ad una singola famiglia. La storia dei diversi Stili delle Arti marziali asiatiche vede protagonisti alcuni singoli Maestri, Fondatori mitici e Capo Scuola illuminanti che nei secoli passati hanno avuto come loro successori, tranne rare eccezioni, discendenti diretti di sangue, tanto che la maggior parte di questi stili e scuole, ancora oggi, sono identificate con il patronimico del fondatore o dell'esponente di maggior rilievo.

Questo è vero anche nel caso del vecchio stile Fu, identificato appunto con l’attribuzione del cognome del fondatore, il Gran Maestro Fu Chen Song. Questa forte caratterizzazione “familiare” è evidente anche nella identificazione dei vari Maestri che si sono succeduti al Fondatore, proseguendo il lignaggio ed assicurando la trasmissione dei principi e dei valori della scuola e dello stile. Si tratta di una peculiarità che è fortemente legata alla impostazione culturale della società tradizionale cinese, ed all’influenza confuciana in particolare, che imponeva un esplicito rispetto per la gerarchia e per i superiori, tanto a livello sociale che familiare. 

Solo da pochi decenni queste Scuole si sono aperte all'esterno ed hanno accettato di condividere il loro sapere ancestrale con studenti e praticanti “esterni”; vicissitudini storiche e culturali – non di rado traumatiche – come nel caso della rivoluzione culturale cinese – hanno reso questa una scelta quasi obbligata, pena l'estinzione definitiva della Scuola stessa, per mancanza di eredi diretti o per incapacità o mancata volontà degli stessi nell'assumersi un ruolo così gravoso.

Occorre infatti sottolineare che essere l'erede di una Scuola con secoli di storia, se da un lato era un onore prestigioso e una condizione privilegiata, dall'alto era un impegno totalizzante che  non ammetteva deroghe e si rivelava non di rado particolarmente impegnativo; ricordo i racconti del Maestro Severino Maistrello, , III^ generazione stile Fu, allievo diretto del Gran Maestro To Yu e Direttore Tecnico della Wudang Fu Style Academy, quando ci raccontava che un Maesto aveva ucciso la figlia che stava addestrando con una stoccata di lancia oppure quando illustrava la durezza dell'addestramento dei figli di un caposcuola dello stile Yang, uno dei quali tentò il suicidio e l'altro fuggì diverse volte dalla casa paterna per sottrarsi alla rigidità della disciplina imposta. 

Pur essendo casi limite, questi non possono certo essere considerati eccezioni; i nostri nonni consideravano normali dei mezzi di correzione e delle punizione che oggi farebbero scattare l'intervento dei Servizi Sociali; per un insegnante di scuola era assolutamente lecito picchiare un alunno o infliggergli pesanti punizioni corporali, senza che dalle famiglie si levasse la benché minima protesta. E se questo era normale da noi in Occidente, figuriamoci cosa poteva avvenire in un Oriente in cui la filosofia confuciana considerava il padre come il responsabile del dovere di inculcare ai suoi figli i costumi e gli atteggiamenti adatti ai ruoli familiari che anch'essi verranno ad ereditare, ed imponeva ai figli un rispetto per la gerarchia ed una pietà filiale che erano il fondamento di una famiglia funzionante e si basavano sulla reciprocità delle diverse relazioni sociali: tra amici, fratelli maggiori e minori, padre e figlio, marito e moglie, governante e governato, tale per cui riconoscendo queste relazioni, le persone avrebbero potuto vivere e crescere fianco a fianco in armonia.


Dalla famiglia alla Scuola

Da quanto sopra abbiamo detto, sia pure in estrema sintesi, riteniamo appaia evidente l'importanza che viene attribuita in Oriente all'essere accettati in una Scuola tradizionale. Mentre in Occidente (e non solo...) si ritiene che basti pagare una retta mensile per avere accesso ai servizi offerti da un centro sportivo, in Oriente possiamo dire che essere accettati come allievi in una Scuola tradizionale comporta più doveri che diritti, a partire dall'accettare quanto ci viene richiesto e nel rispettare la gerarchia della Scuola stessa, e questo è ancor più vero nel caso del Vecchio stile Fu, che può vantare un lignaggio certo, una successione chiara ed una genealogia dichiarata. Questa particolarità è resa – come accennavamo prima – anche nei termini che identificano i Maestri del lignaggio della scuola; nel vecchio stile Fu, abbiamo Si Jo (師祖)Fu Chen Song, Si Kung (師公) To Yu, allievo interno del Gran Maestro Fu Chen Song e Si Fu (師父) Severino Maistrello, discepolo interno del Maestro To Yu, suo rappresentante per l’Europa e direttore tecnico della Wudang Fu Style Association. Come possiamo notare, negli ideogrammi che rappresentano i tre titoli riservati ai Maestri compare l’ideogramma 师, anche nella versione 師 che si legge “Si” e che ha una etimologia non completamente accertata. Tra i tanti significati attribuiti a questo ideogramma, interessano al nostro caso quelli che lo indicano come “capo, comandante, leader”, o “insegnante o istruttore” oppure “Maestro, esperto, specialista”.

Sulla base di questa prima analisi, approfondiamo l’analisi passando al secondo ideogramma che identifica lo specifico “gradino” del lignaggio tradizionale.  Con Si Jo (師祖) si identifica il fondatore di una Scuola o di uno stile specifico di un Arte; il secondo ideogramma indica un antenato, un trisnonno o un trisavolo, e quindi già in questo caso appare evidente il riferimento al Maestro come ad una figura familiare. Il termine Si Kung (師公) indica il Maestro del Maestro di una specifica Scuola marziale tradizionale; in particolare, il secondo ideogramma si traduce letteralmente come “pubblico, corretto, onorabile”. Ancor più esplicito nell’esprimere quanto il rapporto tra Maestro e allievo venga connotato come alla pari di un vero e proprio legame di sangue è il termine Si Fu (師父) dove il secondo ideogramma viene letteralmente tradotto come “padre”. Diverse sono – anche in questo caso – le ipotesi che interpretano l’ideogramma 父, per alcuni questo rappresenta la stilizzazione di una mano che regge un bastone, segno della autorità paterna come lo scettro è il simbolo della autorità regale. Non è estranea a questa interpretazione anche la modalità educativa tradizionale, che non lesinava le punizioni corporali in base al principio secondo il quale “l’uomo deve essere formato dall’uomo come la lama viene affilata dalla pietra”. Un’altra ipotesi identifica nell’ideogramma una mano che impugna una scure, espressione della maestria lavorativa del genitore e della sua capacità di assicurare una casa ed un sostentamento economico alla famiglia.

A proposito del termine Si fu (oppure Shifu, a seconda delle diverse traslitterazioni che si possono adottare), riteniamo opportuno sottolineare come questo termine venga a volte impiegato in maniera scorretta; uno studente di una Scuola tradizionale può infatti appellare come “Si Fu” il suo insegnante solo quando questo lo riconosca formalmente come suo allievo interno, entrando quindi a far parte del lignaggio della Scuola stessa ed impegnandosi a rispettarne i valori e trasmettere i principi, stabilendo – come detto – un legame che ha lo stesso valore (se non maggiore) di una discendenza di sangue, da sempre suggellato con una importante cerimonia chiamata “Bai Shi”(拜師) , con il primo ideogramma che si può tradurre come “rispettare”, “celebrare”, praticare il culto”ad evidenziare l’importanza di questo evento che legava per tutta la loro vita Maestro e allievo.

Dove questa accettazione formale ed esplicita non sia avvenuta, sarebbe più corretto che l’allievo si riferisse al suo insegnante con il termine “Lao Si” (oppure Laoshi, 老師), che indica genericamente l’insegnante di una disciplina o di un’arte, dove il primo ideogramma si traduce letteralmente come “vecchio, anziano, venerabile” ed il secondo ha i significati già visti in precedenza.

Questa distinzione è particolarmente importante in tutte le Scuole che si onorino di trasmettere uno “Stile di Famiglia” come nel caso del vecchio stile Fu, e non a caso, nel logo della Wudang Fu Style Academy, dove l’esame dei caratteri sulla sinistra evidenzia che il primo in alto indica foneticamente e graficamente il cognome Fu, indicando in Fu Chen Song il caposcuola dello stile, mentre il secondo sottostante 式 è un altro carattere fono-semantico composto dalla indicazione fonetica 弋 e dal carattere semantico 工 (“lavoro”) che insieme si leggono “shi” e vengono tradotti come “forma, stile, espressione, regolamento”. I quattro caratteri alla sinistra del logo indicano quindi letteralmente il “Stile di Tai Chi della famiglia Fu”, definendo il lignaggio dei praticanti ed il loro Caposcuola, Fu Chen Song, conosciuto anche con il nome Fu Chien Kun. 

Far parte della Wudang Fu Style Academy non significa quindi poter godere delle possibilità, più uniche che rare, della didattida del M° Severino Maistrello, ma anche – se non soprattutto – essere consapevoli della storia della Scuola, dell'importanza del suo lignaggio e della responsabilità che ci assumiamo quando ci presentiamo come suoi membri o rappresentanti, specie nel caso in cui rivestiamo il ruolo di insegnante tecnico. 

Sotto questa luce, l'indossare la divisa con il logo della WFSA, indicare il nome della Scuola nelle locandine dei nostri corsi o nel sito internet della nostra associazione non deve essere vissuto come una diminuzione della nostra autonomia ma piuttosto come un onore ed un privilegio che attestano il nostro essere parte di una famiglia in cui – citando un famoso motto - si è “tutti per uno e uno per tutti”.