Il linguaggio simbolico dei luoghi della pratica

Oggi è sempre più difficile, in particolare nei grandi centri urbani, avere l'occasione di vedere al lavoro un artigiano che realizza un manufatto o ripara una apparecchiatura.

Nel tempo dell’ “Usa e Getta” sembra più conveniente destinare alla discarica l’autovettura, il televisore o il paio di scarpe rotte o solamente usurate per comprare un nuovo modello più elegante, più, veloce, più alla moda. Non è certo questo il luogo per imbastire un sermone sociologico (anche se, in qualità di praticanti di discipline “tradizionali”, il discorso non dovrebbe lasciarci indifferenti…) ma cogliamo questo spunto per dedicare uno sguardo diverso ai luoghi ed agli strumenti che ci accompagnano nella nostra pratica.

Gli attrezzi del mestiere

Ogni professione ha i suoi “attrezzi del mestiere”, quasi sempre modellati sulle esigenze degli utilizzatori e adeguati ai risultati di centinaia di anni di esperienza. Per molti un martello è solo un martello, ma sfogliando un catalogo di attrezzi professionali potremmo scoprire il martello da muratore è molto diverso da quello da carrozziere, ed entrambi differiscono da quello utilizzato dai falegnami, e la stessa cosa vale anche per altri attrezzi un po’ a torto considerati semplici quali seghe, coltelli, pinze e tenaglie. Noi abbiamo pochi termini per definire i vari tipi di neve mentre gli eschimesi ne hanno decine e alla stessa maniera, maggiore è la nostra esperienza in una specifica attività e migliore sarà la nostra capacità di utilizzare lo strumento giusto per ottenere il migliore risultato. Questo – fatte le debite proporzioni – vale anche nella pratica delle discipline marziali tanto orientali quanto occidentali; lo schermidore nostrano che si confronta in pedana di gara con le tre armi classiche (spada, fioretto e sciabola) potrebbe rimanere perplesso nello scoprire che in Giappone ogni Scuola di scherma antica ha un suo proprio modello di spada da utilizzare nella pratica. Alla stessa maniera, è facile intuire che armi dalla storia millenaria come la sciabola cinese hanno subito nel corso del tempo adattamenti e modifiche per renderle sempre più adatte all’impiego in campo, sulla base delle mutazioni delle condizioni di utilizzo (modifica delle armature, avversari a piedi o a cavallo, progressi della metallurgia, ecc.). Fatta questa lunga premessa, è facile intuire che nella pratica di discipline che un tempo neppure troppo lontano potevano decidere in un istante della vita e della morte di un uomo gli strumenti impiegati non potevano essere certo lasciati al caso ed avevano quindi una forma, un peso e una dimensione certamente non casuali ed è altrettanto logico pensare che nei luoghi in cui queste discipline venivano esercitate, ogni particolare dell’arredamento, ogni disposizione di persone e oggetti aveva un motivo specifico, anche se non immediatamente evidente ai non “addetti ai lavori”. Come sempre avviene in questi casi le motivazioni strettamente pratiche e concrete si intrecciano con quelle filosofiche e simboliche; non è qui il caso di discutere se sia nato prima l’uovo o la gallina ma possiamo essere certi che ad ogni gesto e ad ogni particolare che abbia un concreto motivo di essere così come è, corrisponde anche una interpretazione più “sottile”, e viceversa. Vale per le dimensioni della porta di ingresso nella sala di pratica, vale per l’ubicazione del lato d’onore, vale per la disposizione dei praticanti, vale per la posizione in cui si depongono gli strumenti della pratica (armi o simulacri che siano) quando non sono utilizzati.

L'impiego delle armi

Alle armi utilizzate nella pratica delle discipline comprese nel curriculum del Vecchio stile Fu abbiamo dedicato un articolo specifico, ed altrettanti ne abbiamo dedicati ad esaminare il bastone corto, la lancia, la spada e la sciabola nelle loro peculiarità storiche e applicative; ma in questo campo non si finisce mai di imparare e quello che all’inizio ci appare come un traguardo si rivela poi ai nostri occhi come un nuovo ed interessante punto di partenza. Così, nel corso di un corso di formazione riservato agli insegnanti di III° livello di Tai Chi Chuan del Vecchio stile Fu diretto dal caposcuola M° Severino Maistrello, direttore tecnico della Wudang Fu Style Academy e svolto presso il Dào Centre di Padova, mi sono soffermato ad ammirare le rastrelliere di legno che custodivano da un lato spade e sciabole e dall’altro lance e bastoni. [gallery ids="2421,2420,2419"] Per un falegname dilettante come chi scrive, è stato molto interessante ammirare la cura dei particolari e gli espedienti costruttivi utilizzati da Valter nel costruire le rastrelliere nel suo laboratorio domestico. Se già mi aveva lasciato stupito la sua capacità di realizzare l’ “uomo di legno” usato nella pratica del Wing Chun presso lo stesso Dào Centre, osservare nel dettaglio le rastrelliere è stata una vera e propria lezione, impartita senza parole ma non per questo meno efficace ed interessante. In questi casi ho sempre il dubbio di lasciare le briglie un po’ troppo sciolte alla mia fantasia, a consolarmi questa volta è stato proprio Valter, che è tra l’altro anche uno dei più preparati assistenti del M° Maistrello, che nel farmi notare i vari particolari e nel rivelarmi gli espedienti utilizzati nella costruzione delle rastrelliere (uno su tutti, il geniale fermo rotante dei bastoni!) mi ha confermato che non era casuale il numero degli alloggiamenti previsti per ogni rastrelliera (nove, un numero ben noto ai praticanti delle discipline comprese nel curriculum del Vecchio stile Fu) così come mi ha spiegato che le rastrelliere non servono solo ad assolvere lo scopo pratico di custodire in maniera sicura le armi utilizzate nella pratica ma impartiscono a chi le usa un messaggio che rivela (nella doppia accezione etimologica del termine) alcuni dei principi di queste discipline: “Ordine, Struttura e Disponibilità” – mi ha spiegato Valter con una semplicità disarmante.

I principi della pratica

Ordine significa che ogni cosa deve essere al suo posto e che ogni posto è destinato ad una cosa, l’ordine garantisce la sicurezza, ma non solo. Un luogo ordinato è armonico e ci appare da subito bello, è un luogo dove ci piace state e dove il nostro animo si rasserena e si predisposizione al meglio alla pratica. Potremmo citare la sezione aurea di Fidia oppure la successione di Fibonacci, che troviamo espresse tanto nel microcosmo che nel macrocosmo, ma credo basterà stimolare ognuno di noi a chiedersi in quale luogo si trova maggiormente a proprio agio e perché. Ordine è anche rispetto per ciò che ci viene assegnato e che noi dobbiamo custodire con cura, e non si tratta solo di oggetti materiali, ma anche degli insegnamenti che riceviamo dai nostri Maestri e che – da insegnanti – dobbiamo trasmettere con il massimo della accuratezza e fedeltà senza farci trascinare da modifiche e personalizzazioni dettate dall’Ego (un concetto su cui il M° Severino Maistrello torna spesso, ed a giusta ragione). Struttura è uno dei cardini della pratica, è l’obbiettivo primo e ultimo di ciascun praticante, ed anche qui la corretta postura fisica, il giusto allineamento delle articolazioni, i piedi paralleli, le ginocchia leggermente flesse, la piombatura tra nuca e osso sacro, la opportuna posizione del bacino sono solo gli indizi evidenti ma non unici. Struttura è anche consapevolezza del lignaggio della Scuola e dei ruoli che ciascuno di noi riveste al suo interno, struttura è interrogarsi costantemente su come ci poniamo nei confronti della pratica, dei nostri compagni e dei nostri insegnanti; struttura è la capacità di rimanere stabili durante l’esecuzione del Tom-ma o dello Zhan Zhuang senza lasciar vagabondare la nostra attenzione ma – allo stesso tempo – senza farci ossessionare da un singolo particolare perdendo la visione complessiva. Struttura è essere consapevoli che ogni singolo gesto – per quanto apparentemente semplice o insignificante – è fondamentale in una tecnica al pari di un singolo mattone che sostiene un muro imponente. Disponibilità è il sangue pulsante di una Scuola, è la condizione più che necessaria perché questa viva e perché possa tramandarsi negli anni. Disponibilità dell’insegnante a condividere la sua esperienza con gli allievi e disponibilità di questi ultimi ad accogliere con fiducia ammaestramenti e correzioni ricevute. Disponibilità è avere la maturità di capire che una Scuola non è un luogo dove “io pago e tu mi insegni” ma è uno spazio ed un tempo in cui si incontrano corpi, menti e anime, ciascuno con la sue proprie peculiarità che richiedono e offrono attenzione, rispetto e comprensione. Disponibilità è fare proprio il concetto che le armi nelle rastrelliere, ma anche gli arredi della sala di pratica, come le sedie nella reception o il dispenser di sapone nei bagni possono essere usate da tutti ma devono essere custodite e curate da ciascuno come se fossero le proprie. Disponibilità è donare il proprio tempo ai principianti così come ci donano il loro i più esperti, in una interrotta catena che assicura la corretta trasmissione delle tecniche e dei principi di una Scuola. Questo aspetto è forse la caratteristica più eclatante che distingue un Dojo, un Kwoon, una sala di pratica dalla moderna palestra: in quest’ultima la disposizione degli attrezzi rispetterà principi di ergonomia o assicurerà un più razionale percorso tra i vari esercizi da svolgere, nei primi ogni oggetto presente, anche il più apparentemente insignificante, è li per dirci qualcosa; a noi il compito di avere occhi per vedere e orecchie per ascoltare ciò che la sapienza dei Maestri ha da insegnarci.