Sbagliando si impara...

Le discipline interne non ci rendono infallibili, tutt'altro! Ci rendono piuttosto consapevoli delle nostre imperfezioni e determinati a risolverle, per fare di noi non solo dei bravi praticanti ma soprattutto persone migliori.
Nei proverbi e nei modi di dire che sono giunti attraverso le generazioni ritroviamo la saggezza dei nostri avi, distillata grazie ad una costante attenzione a ciò che succedeva intorno a loro.

Sebbene la tecnologia e le convenzioni sociali siano profondamente cambiate nel giro di pochi decenni, ci sono affermazioni che sono valide oggi come lo erano centinaia di anni fa. Tra queste, una che dovremmo tenere sempre bel presente è “Sbagliando si impara”. Troppo spesso oggi siamo proiettati verso un traguardo, consideriamo una bocciatura come un fallimento invece di coglierla come una opportunità per esaminare il nostro percorso, pensiamo al nostro addestramento come ad una autostrada piana e rettilinea mentre invece dovremmo vederlo come un tortuoso sentiero di montagna, forse meno agevole da percorrere ma infinitamente più ricco di stimoli e suggestioni.


“Nessuno nasce imparato” 

E' un modo di dire grammaticamente impreciso ma corroborato dall'esperienza di tutti noi, che si sviluppa sin dalla nostra infanzia. Se il neonato avesse paura di cadere continuerebbe a gattonare e se avesse paura di inciampare non imparerebbe mai a camminare. Così non è, per fortuna, e tra cadute e capitomboli, qualche pianto ed un po' di spavento tutti noi abbiamo imparato a muoverci a piedi e poi in bicicletta. 

Anche la carriera scolastica di tanti di noi è illuminante: la famosa astrofisica Margherita Hack venne rimandata in matematica, Giuseppe Verdi non venne ammesso al Conservatorio Musicale di Parma, gli insegnanti di Albert Einstein pensavano che avesse un ritardo mentale; solo per citare alcuni esempi. Questo non significa ovviamente trascurare il profitto scolastico o non correre ai ripari di fronte ad una palese impreparazione, ma piuttosto che si può imparare molto tanto dalle sconfitte che dalle vittorie.

“Per aspera ad astra” 

E' il motto latino che afferma che la via che ci porta alle stelle non è facile e veloce, un concetto che ritroviamo nella costatazione orientale che per il progresso bisogna “masticare amaro”. Non è piacevole, certo ma alla vista distratta di molti profani molte caratteristiche delle Discipline Interne sembrano difficili da comprendere; in quanti accetterebbero di percorrere diverse centinaia di chilometri per partecipare ad una lezione con il proprio insegnante che ti lascia per lunghe ore nella posizione della Montagna? E tutto questo per anni? Eppure è uno degli episodi che il Maestro Severino Maistrello - Direttore Tecnico della Wudang Fu Style Academy, 3^ generazione stile Fu, allievo diretto e successore del Gran Maestro To Yu – racconta quando parla della sua formazione. E' uno degli esempi e neppure il più eclatante, e se oggi la tecnologia ed i mezzi di trasporto sembrano aver accorciato le distanze, quello che non deve cambiare è l'attitudine di ciascuno di noi praticanti, che dovrebbe vedere la pratica come il lavoro costante ed attento di un abile artigiano che sgrossa progressivamente la sua opera, consapevole che non giungerà mai al punto di non avere più nulla da imparare.

“Non la velocità ma la costanza, permette di giungere alla meta”

Lo affermava un saggio orientale migliaia di anni fa, ed è vero ancora oggi. Ripetiamolo ancora una volta, non si vuole invitare nessuno a cullarsi negli errori, piuttosto si vuole evidenziare quanto questi – opportunamente analizzati – possano aiutarci a migliorare la nostra pratica, rivelandoci i nostri “punti deboli” e gli aspetti su cui dovremmo puntare la nostra attenzione, perché se è vero che il nostro insegnante a tempo debito saprà correggerci, è altrettanto vero che “chi fa da se fa per tre”.

Mettiamo allora da parte proverbi e modi di dire e passiamo ad analizzare alcuni dei punti su cui più probabilmente potremo “inciampare” durante la pratica, alcuni di questi li avevamo già analizzati in un articolo precedente dedicato ai dieci errori più comuni nella pratica del Tai Chi Chuan (clicca qui per leggerlo) altri saranno nuovi, ma non per questo – crediamo – meno meritevoli di attenzione.


Fare troppo, fare male: L'impazienza nel voler fare più di quanto rientra nelle nostre attuali capacità a volte si traduce nel trascurare l'intera gamma di caratteristiche specifiche del gesto che dovremmo compiere (o non compere...). I movimenti sono abbozzati o imprecisi, la postura è instabile, l'equilibrio è precario, la forma è sgraziata. Se i movimenti sono imprecisi, l'energia non può scorrere correttamente e la funzionalità della applicazione non è efficace. E' bene dare sempre maggior valore alla qualità di ciò che facciamo e non alla quantità, è meglio ripetere ciò che sappiamo per migliorarlo piuttosto che accantonarlo frettolosamente impazienti di imparare cose nuove; è un ammonimento che il Maestro Severino Maistrello ci rivolge spesso e vale per tutti, dal principiante all'insegnante esperto.

Una mente inquieta: Le discipline interne offrono la possibilitò di perseguire il duplice allenamento del corpo e della mente. Quando la mente è tranquilla, l'energia circola regolarmente in tutto il corpo. Nulla di peggio che praticare con la mente assillata dagli impegni quotidiani o con un occhio all'orologio pensando a quello che abbiamo da fare dopo. Il momento della pratica delle discipline interne deve svolgersi in un “qui e ora” che deve vederci presenti a noi stessi ed alla pratica ma staccati dalle incombenze quotidiane. Non è facile e la lotta con pensieri e distrazioni sarà continua ma è anche questa capacità di focalizzarci uno degli obbiettivi che dobbiamo perseguire attraverso la nostra pratica, tanto delle forme in movimento che delle posizioni statiche.

Movimenti disconnessi dalla forma: Capita a volte che i movimenti individuali siano eseguiti abbastanza bene, ma che manchi armonia e collegamento tra loro. Un braccio si muove in maniera scoordinata rispetto all'altro, ed entrambi non sono in sincronia con il passo delle gambe o con le torsioni del busto. Se i singoli movimenti sono come perle, dobbiamo essere capaci di unirli insieme per realizzare una splendida collana, consapevoli che l'esecuzione di una forma di Tai Chi Chuan o di Pa Kua Chang, così come un set di Qi Gong non è una accozzaglia di movimenti messi insieme senza una logica bensì l'espressione di un progetto armonico e coerente. Se viene a mancare l'unione tra i vari movimenti, la forma e la funzione sono compromessi, la postura e l'equilibrio saranno precari ed il tutto mancherà di armonia. La nostra attenzione dovrà essere quindi non solo sulle specifiche caratteristiche dei singoli movimenti ma anche sui passaggi di transizione tra l'uno e l'altro, curando la distribuzione dei pesi sui piedi, la respirazione, il movimento della vita ed il radicamento prima di passare dall'uno all'altro.

Rigidità: Come abbiamo affermato in un articolo precedente, (clicca qui per leggerlo) il praticante delle discipline interne dovrebbe ispirarsi ad un albero forte e vigoroso. Questo non significa essere duri e rigidi come una trave di legno stagionato ma piuttosto elastici come un ramo ricco di foglie. Se i nostri movimenti sono privi di morbidezza e flessibilità appaririranno rigidi e sgraziati, facendoci assomigliare ad una marionetta mossa da un attore inesperto. Molti gesti compresi nella pratica delle discipline interne possono sembrarci inusuali o addirittura innaturali, un qualcosa che il nostro corpo non conosce ed a cui non è abituato e che quindi esegue con imperizia e difficoltà. Per ovviare a questo difetto, il consiglio di Sifu Maistrello è sempre lo stesso: pratica, pratica, pratica. 

Svogliatezza: Siamo uomini e non macchine, e quindi ci saranno giorni in cui saremo attenti e concentrati ed altri in cui saremo distratti e poco motivati. E' normale e non dobbiamo farcene una colpa, ma altrettanto non dobbiamo autoassolverci per ogni “assenza”. Come spesso ci ricorda il Maestro Maistrello, alla base di una azione efficace c'è l'intenzione, se manca lo Yi i nostri gesti appariranno vuoti e senza energia. Capita a volte di vedere praticanti che si muovono in maniera disarmonica, altri che confondono il rilassamento attivo espresso da “Song” con un atteggiamento al limite della narcolessia. Il gesto delle discipline interne deve esprimere forza nella morbidezza ed energia nella scioltezza, una condizione di quiete dinamica che dona energia al corpo e tonifica lo spirito rappresentata dalla immagine di un pugno di ferro in un guanto di seta. Una condizione non facile da raggiungere ma per il cui raggiungimento vale lo stesso consiglio riportato nella parte finale del punto precedente.

Instabilità: E' una condizione che capita ai principianti ma anche a chi ha più di qualche anno di esperienza; il baricentro è troppo alto, l'attenzione è altrove, la postura è scorretta, l'equilibruio è precario e il radicamento è assente. Capita così che la parte inferiore del corpo sia traballante e instabile, i piedi non poggino bene per terra, il "Kua" non sia aperto, le ginocchia non siano flesse, la nuca non sia piombata con l'osso sacro e così via... Anche in questo caso, non bisogna farne una tragedia ma prenderne atto e correggere volta per volta tutte le situazioni che giudichiamo scorrette.

Troppi pensieri: A noi moderni occidentali capita troppo spesso di essere ostaggio della nostra mente; pensieri, congetture e ipotesi si susseguono distraendoci dal “qui ed ora”. Come a volte ci ricorda il Maestro Maistrello, citando un detto orientale: “Se inseguite un coniglio forse le catturerete, se inseguite due conigli non ne catturerete nessuno”. Se riempiamo la nostra mente di pensieri non avremo attenzione sufficiente a seguire ciò che stiamo facendo, creando uno scollamento dannoso tra mente e corpo, che ci rende simili ad una autovettura guidata da un autista addormentato.

Mancanza di chiarezza: Sebbene l'addestramento delle discipline interne si basi sulla imitazione dei gesti eseguiti da chi dirige la sessione di pratica, ciò non significa che comprendere cosa si sta facendo sia inutile, tutt'altro! Sifu Maistrello evidenzia spesso che forma e funzione vanno a braccetto, ed essere consapevoli tanto delle applicazioni marziali che degli effetti sul benessere di un determinato esercizio significa eseguirlo in maniera più attenta ed efficace. Facendo un paragone musicale, la forma è uno spartito uguale per tutti, ma ciascuno di noi è uno strumento diverso dagli altri, che quindi non produrrà un suono uguale. E' importante esserne consapevoli per capire in cosa imitare il nostro insegnante ed in cosa ispirarci senza voler essere delle sue perfette fotocopie. I principi di base possono apparire semplici ma gesti e posture richiedono costanza e precisione,  “Piedi ben piantati per terra e sguardo all'orizzonte” - la postura fisica ed emotiva che il Maestro Severino Maistrello ci ricorda di mantenere - è facile a dirsi e difficile a farsi. Dobbiamo essere capaci di comprendere con la mente e imparare col corpo gli effetti degli esercizi, le finalità dei gesti, le origini dei movimenti, facendo tesoro di quanto sperimentiamo durante la loro esecuzione. 

In conclusione, ripetiamo ciò che abbiamo scritto all'inizio: È inevitabile fare molti errori all'inizio della pratica ed è altrettanto inevitabile continuare a farne alcuni anche dopo anni di esperienza; solo con una attenzione costante nel rilevarli ed una assidua correzione potremo migliorare, consapevoli che non saremo mai perfetti e che questo continuo processo di auto-correzione è uno degli obbiettivi della pratica stessa.

Le discipline interne non ci rendono infallibili, tutt'altro! Ci rendono piuttosto consapevoli delle nostre imperfezioni e determinati a risolverle, per fare di noi non solo dei bravi praticanti ma soprattutto persone migliori.