Principi immutabili e cambiamenti costanti

Piccoli cambiamenti portano a cambiamenti più grandi e il risultato complessivo è conseguito in maniera più veloce e definitiva quando lo otteniamo attraverso una azione disciplinata in una struttura organizzata, e quello che può sembrare un “allungare il brodo” è invece un percorso pensato per conseguire risultati affidabili e conseguenziali.
Il praticante delle Discipline interne che riesce ad andare oltre la mera ripetizione meccanica della forma, si imbatte spesso nel paradosso che il Maestro Severino Maistrello, Direttore Tecnico della Wudang Fu Style Academy e successore del Gran Maestro To Yu definisce “l’imprecisione della eccessiva precisione” e che per certi aspetti possiamo identificare come gli inconvenienti in cui incorre chi voglia definire con asettica esattezza delle situazioni che per le loro stesse caratteristiche non sono circoscrivibili in maniera definitiva.

Questo capita spesso a chi si approccia a queste discipline con una mentalità rigidamente occidentale, incentrata su opposti inconciliabili e che quasi non ammettono sfumature o vie di mezzo, un “tertium non datur” che è di fatto inapplicabile nelle situazioni in cui è necessario individuare principi complementari che sono l’uno per l’altro ragione di esistere, anche se sembrano essere apparentemente in contrasto.

Questo ci riporta alla nota polarizzazione espressa dallo Yin-Yang, ma anche senza filosofare troppo, ci imbattiamo in questa apparente contraddizione sin dai primi momenti della pratica, dove spesso l’apprendimento passa dalla ripetizione costante di semplici gesti prima e di sequenze sempre più complesse dopo.

In molti considerano come scopo ultimo della pratica il memorizzare coreografie sempre più lunghe ed acrobatiche, eseguire ogni singolo gesto con una precisione quasi maniacale, cercare di riprodurre al meglio anche il più piccolo movimento mostratoci dai nostri Maestri, salvo poi chiedersi come conciliare questa rigida impostazione con discipline che si basano sull’eterna variazione e sul costante adattamento.

Mezzi e fini

“Il Tao che può essere detto Tao non è l’eterno Tao.
Il nome che può essere nomato non è l’eterno nome.
Senza nome è l’inizio del cielo e della terra e col nome è la madre d’ogni cosa,
perciò colui che sempre è senza voglie ne contempla le sue perfezioni,
ma colui che sempre ha desideri ne contempla per questo i suoi confini.
Ora queste due cose son nate insieme ed han diverso nome,
insieme esse si chiamano il mistero, mistero più profondo del mistero
e son la porta d’ogni meraviglia”

Recita così il primo capitolo del Daodejing (Tao Te Ching) in una delle tante traduzioni disponibili, e lo precisiamo perché il testo è in alcuni tratti tanto oscuro ed enigmatico da prestarsi a interpretazioni quasi opposte tra loro. Il tentativo di descrivere l’indescrivibile ed insegnare quello che non si può insegnare sembrerebbe impossibile per la nostra mente razionale, eppure questo avviene da migliaia di anni. 

Chi parla non sa, chi sa non parla”, affermava Laozi , il mitico autore del Tao Te Ching, rendendo esplicito il dilemma sotteso a queste discipline: se chi insegna sa quello che insegna, come fa ad insegnarlo senza parlarne? Se le Discipline Interne si basano sul principio del costante cambiamento e del necessario adattamento, perché sono codificate in forme standardizzate?

E’ il classico caso del dito che indica la luna, in troppi puntano la loro attenzione sulle falangi e in pochi alzano lo sguardo verso l’astro notturno.  La leggenda racconta che Laozi  scrisse il suo libro sollecitato da una guardia alla frontiera del paese di Chou, che si apprestava ad abbandonare dopo avervi risieduto per lungo tempo. Non sapremo mai quanto questa storia corrisponda alla realtà, ma quello che sappiamo è che in questo aneddoto troviamo una utile indicazione delle modalità di trasmissione dell’insegnamento, in cui le parole non sono un ostacolo ma solo un attrezzo da impiegare opportunamente; come tutti gli attrezzi sono utili a chi sa come e quando impiegarli ma – come tutti gli attrezzi – nulla possono fare nelle mani di chi non sa come utilizzarli.

Tecniche e principi

Ci troviamo così di fronte a discipline che tramite una pratica rigorosa e codificata ci abituano al costante mutamento e che usano le parole altrui per farci scoprire il muto linguaggio del nostro corpo… una modalità di apprendimento non sempre facile da comprendere! Di fatto, quello che dobbiamo accettare è che le tecniche esprimono dei principi e se ci fermiamo alla semplice memorizzazione di movimenti più o meno complessi o acrobatici senza approfondirne il significato saremo come un alunno che impara a memoria le tabelline senza apprendere come eseguire una moltiplicazione.

E’ una questione tanto importante che il Maesrto Severino Maistrello la ribadisce spesso, ed anche in occasione dei recenti incontri di formazione tecnica degli insegnanti della WFSA ha rimarcato come le lacune che qualcuno ha mostrato nella esecuzione delle forme a mani nude come di spada, sciabola o bastone fossero di fatto attribuibili ad una insufficiente qualità di pratica delle fondamentali sequenze del Tom-ma e di “Aprire le Nove Porte”, che – ribadiamolo ancora una volta – sono tra le prime sequenze che il principiante incontra all’inizio del suo percorso non perché siano più facili rispetto alle successive ma perché ne costituiscono il fondamento teorico e – soprattutto – pratico! 

La Via e le sue tappe

L’esecuzione di forme e sequenze di movimenti è in realtà solamente un mezzo per perseguire il vero obbiettivo della pratica,  ed individuare questo obbiettivo e decidere se e quanto sia adatto per noi è parte integrante della pratica stessa, perché quando crediamo di aver capito tutto, quando ci illudiamo di non avere più nulla da imparare allora stiamo clamorosamente fallendo perché – quando lanciamo una palla verso il cielo – quando questa smette di salire, comincia inesorabilmente a cadere.

Naturalmente ogni percorso ha una direzione, un traguardo e le sue tappe, che possiamo condividere con altri viandanti; ci sarà chi avrà un passo più veloce di altri, chi si fermerà poco dopo aver cominciato e chi persevererà nonostante imprevisti ed accidenti: la Via è uguale per tutti ma ciascuno la percorre a modo suo.

Quello che possiamo dire è che – nonostante il percorso sia eminentemente individuale – vi sono dei principi delle Discipline Interne che valgono per tutti i praticanti, a prescindere dal loro livello di esperienza e dagli obbiettivi della loro pratica, vediamone alcuni.

Possiamo affermare con sufficiente esattezza nonostante la necessaria approssimazione, che le Discipline Interne come il Tai Chi Chuan, il Pa Kua Chang ed il Qi Gong hanno tre livelli di interpretazione; questi tre livelli sono ovviamente interdipendenti tra loro e non è di fatto possibile separare gli uni dagli altri. 

In altre parole, quando pratichiamo, in maniera più o meno consapevole ed indipendentemente dai nostri obbiettivi, operiamo su tutti e tre i livelli della pratica stessa. Questi tre livelli  sono condizioni reciproche che richiedono un'esecuzione simultanea e non separabile e questa suddivisione descrittiva serve solo per consentire la comprensione del principio.

Il primo livello è quello fisico, evidente, tangibile, fatto di gesti, movimenti ed azioni visibili a uno spettatore esterno. A  questo livello perseguiamo il raggiungimento di un equilibrio dinamico e di una adatta struttura corporea. A questo livello si pratica in maniera che il corpo  esprima la sincronizzazione della parte superiore e inferiore del corpo, la coordinazione dei movimenti di apertura e chiusura e l'accuratezza del percorso energetico. Quando c'è coordinazione del movimento di mani e piedi, gomiti e ginocchia, spalle e fianchi, si parla di "tre armonie esterne".

Il secondo livello è relativo alle attività mentali ed emotive che non sono ben visibili ad un osservatore esterno ed agiscono nascoste nel cuore e nella mente, ma svolgono il ruolo vitale di comandare e influenzare le attività fisiche.

Il terzo livello è quello energetico, in cui Qi e sangue scorrono all'interno del corpo lungo i meridiani in base agli stimoli originati dalla combinazione di attività fisiche, mentali ed emotive. Attraverso una pratica costante e consapevole, usiamo il cuore/mente (Xin  心) per guidare l'intenzione che guida il Qi e la energia, che a loro volta guidano i movimenti corretti.

Quando tutti e tre i livelli  sono perseguiti ed allenati senza soluzione di continuità, quando il cuore e l'intenzione, l'intenzione e l'energia, l'energia e la forma del corpo sono completamente coordinati, si parla di "tre armonie interne".  

Piccoli cambiamenti

Realizzare le sei armonie sopra descritte non è facile, in particolare le tre armonie interne richiedono una pratica attenta e focalizzata poiché – come è facile immaginare – è molto difficile percepire queste armonie se la nostra pratica è distratta e si basa sulla esecuzione casuale di movimenti scoordinati. 

Come in tutte le attività umane, è meglio iniziare il nostro addestramento con movimenti che richiedono uno o due piccoli particolari su cui concentrare la nostra attenzione, e dove l’obbiettivo di apprendimento è adeguato alla fase di sviluppo che stiamo affrontando. Esercitarsi ripetutamente e costantemente, cercare di capire con attenzione i cambiamenti che via via ci troviamo a percepire, cercare di definire la sensazione che stiamo percependo fino a quando una sorta di comprensione ci appare e quando c'è una svolta, dargli la massima priorità e praticarla fino a quando non si consolida e si verifica ogni volta che ci esercitiamo, prima deliberatamente e poi naturalmente, ottenendo l’obbiettivo di ricreare i cambiamenti e le sensazioni in ogni movimento. 

Piccoli cambiamenti portano a cambiamenti più grandi e il risultato complessivo è conseguito in maniera più veloce e definitiva quando lo otteniamo attraverso una azione disciplinata in una struttura organizzata, e quello che può sembrare un “allungare il brodo” è invece un percorso pensato per conseguire risultati affidabili e conseguenziali. 

A questo punto è bene ricordare che le routine di pratica, come sono – ad esempio – la forma 88 nel Tai Chi Chuan dell’Old Fu style, sono state ideate dai Maestri passati con l’obbiettivo di ottenere una progressione incrementale. I movimenti iniziali ci preparano per il successivo, ed i  movimenti apparentemente più semplici e spesso ripetuti sono proprio quelli che hanno un potenziale impatto diretto sulla qualità dell'intera routine.